Francis Bacon
italianizzato come Francesco Bacone, non contribuì direttamente con nuove scoperte o invenzioni, diversamente da Galileo. Anzi, sottovalutò sia l’importanza dell’astronomia copernicana che quella dell’applicazione della matematica alla scienza. Tuttavia, il suo ruolo nel pensiero del Cinquecento e Seicento è di primo piano, poiché fu un interprete delle potenzialità della scienza moderna, intesa non più come sapere puramente teorico, ma anche come strumento pratico.
Secondo Bacone, il fine ultimo della scienza è migliorare la vita umana attraverso la conoscenza della natura. Egli affermava che “sapere è potere” e che la massima aspirazione dell’uomo doveva essere il dominio sulla natura, un dominio ottenuto non con violenza ma attraverso l’obbedienza alle sue leggi, ovvero conoscendola e rispettandola.
L’Inghilterra del Seicento, con la sua crescente attenzione alla tecnica, favorì la nascita di una nuova figura intellettuale: l’esperto tecnologico o “practicioner”. Questa non era un’unica figura, ma includeva professionisti come ingegneri militari e civili, costruttori navali o perfezionatori di strumenti scientifici come il cannocchiale e la bussola.
Bacone sfidò gli studiosi del suo tempo a trovare innovazioni capaci di trasformare il mondo, come era avvenuto con la stampa, la polvere da sparo e la bussola. Per Bacone, il progresso della conoscenza derivava da un cambiamento di mentalità: si doveva passare dallo studio passivo dei testi antichi al “contatto della mente con le cose”. Questo ritorno alla natura rappresentava una “restaurazione”, poiché nell’antichità gli uomini avevano già osservato e ascoltato la natura. Il suo tempo, secondo Bacone, consentiva di ripristinare quelle condizioni, ponendo le basi per una scienza in grado di produrre risultati utili per l’umanità.
Egli osservò che il sapere tecnico progrediva costantemente grazie all’esperienza e alla collaborazione, mentre in filosofia prevaleva il principio di autorità, che soffocava la ricerca. Bacone criticava i seguaci di Aristotele per la loro cieca riproduzione delle sue teorie, contrapponendo alla figura del “maestro” quella dell’“inventore”, capace di promuovere il progresso scientifico. Per Bacone, la verità era “figlia del tempo” e si rivelava gradualmente, attraverso il contributo cumulativo degli uomini.
Bacone attaccò anche maghi e astrologi, accusandoli di utilizzare un linguaggio oscuro e privo di utilità per l’umanità. Al contrario, la scienza doveva essere chiara e accessibile a tutti, con l’obiettivo di migliorare la vita degli uomini. La magia, secondo Bacone, si basava su illusioni e inganni, e non poteva essere conciliata con la scienza.
La critica baconiana alle false conoscenze è sintetizzata nella sua opera più celebre, il Novum Organum, che si poneva in contrasto con la logica aristotelica dell’Organon. In essa, Bacone identificò quattro tipi di pregiudizi o “idoli” che ostacolavano la conoscenza:
1. Idola tribus: pregiudizi legati alla natura umana, che portano a distorcere la realtà attraverso i propri schemi mentali e bisogni.
2. Idola specus: pregiudizi individuali, legati all’educazione, all’ambiente e alle esperienze personali, che isolano l’uomo dalla verità come una caverna platonica.
3. Idola fori: pregiudizi derivanti dall’uso impreciso delle parole, che generano confusione e incomprensioni.
4. Idola theatri: pregiudizi legati alle dottrine filosofiche, che Bacone paragonava a rappresentazioni teatrali, come nel caso delle teorie di Platone e Aristotele.
Sul piano costruttivo, Bacone propose il metodo induttivo, basato sull’osservazione sistematica dei fenomeni e sull’organizzazione dei dati empirici in apposite “tavole”:
• Tavola della presenza: elenca i casi in cui un fenomeno si verifica.
• Tavola dell’assenza: riporta i casi in cui il fenomeno è assente.
• Tavola delle comparazioni: analizza come il fenomeno varia in intensità in diverse circostanze.
Questa organizzazione permetteva al ricercatore di formulare ipotesi, chiamate “prima vendemmia”, che dovevano essere verificate con esperimenti, tra cui l’experimentum crucis.
Per Bacone, il sapere tecnico era ciò che distingueva gli uomini civili dai selvaggi. In opere come la Nuova Atlantide, egli immaginò una società ideale in cui scienza e tecnica fossero messe al servizio del progresso umano. In questa città utopica, esperti collaboravano per realizzare invenzioni utili alla collettività, promuovendo una società giusta, pacifica e libera dall’ignoranza.
La visione di Bacone non era solo l’esaltazione della tecnica, ma anche quella di un’umanità felice, guidata dalla verità e dal sapere autentico.
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